Il fine della terapia consiste nel far sì che il paziente non dipenda dagli altri e scopra fin dal primissimo momento che può fare molte cose, molte più cose di quelle che crede di poter fare”. F.Perls

Non ho un corpo, sono un corpo


Siamo un corpo… non abbiamo un corpo. Questa frase che ho incontrato spesso durante la formazione continua a stupirmi ogni volta che la ripeto dentro di me. Sono un corpo… non ho un corpo. Mi aiuta a vivere quella consapevolezza di essere un organismo intero, di essere me dalle unghie dei piedi alle punte dei capelli. Il corpo: non lo posseggo, lo sono! Il fatto che si utilizzi maggiormente il verbo avere ci racconta di come nella nostra cultura si immagini spesso che il corpo sia un oggetto a disposizione del nostro “io” e fondamentalmente separato da esso. .Così le tensioni muscolari, i dolori, le sensazioni e perfino le emozioni diventano semplicemente dei fastidiosi intralci. Fastidiosi intralci che quasi piombano dall’esterno, qualcosa che non ci riguarda, qualcosa per cui non abbiamo alcuna responsabilità. Fastidiosi intralci che si intromettono tra noi e quello che pensiamo del nostro modo di essere al mondo. Riappropriarci di questi fastidiosi intralci come parte integrante di noi, nella sfera della nostra responsabilità, significa integrare parti a cui non permettiamo di esprimere bisogni, desideri, fastidi. Se questo accade potremo sfruttare tutte le nostre parti all’unisono, senza sprecare energie per dittature di una parte su un’altra. E si sa: l’unione fa la forza.
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